koro Ihara

Koro Ihara presenta “Tracce di vita” alla Galleria Faber di Roma

Tracce di vita propone l’intensa ricerca del giovane scultore giapponese Koro Ihara.

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Sabato 5 ottobre la galleria d’arte FABER presenta l’esposizione personale Tracce di vita di Koro Ihara.

Il progetto Tracce di vita propone per la prima volta in Italia l’intensa ricerca del giovane, ma già affermato, scultore giapponese Koro Ihara, attraverso esposizioni monografiche, installazioni e talk.

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Il cammino esplorativo di Koro Ihara

L’arte di Koro Ihara è la narrazione di un cammino esplorativo che conduce a una serie di quesiti dai richiami ancestrali: dalla riflessione sulla natura e sul ciclo vitale al tentativo, attraverso il gesto scultoreo, di far emergere i valori culturali che gli organismi non umani posseggono intrinsecamente.

Pertanto nel progetto Tracce di vita i temi più caldi del dibattito ambientale globale, il cambiamento climatico e geologico, la sostenibilità, orientano, ma non esauriscono, uno studio teso a estrapolare una nuova idea di scultura.

Un viaggio sulle orme della vita

L’intera produzione di Ihara, pervasa da una rigorosa coerenza concettuale, può essere concepita in alcune serie principali, da intendersi come tappe del viaggio sulle orme della vita (fading-cycling-made in ground-dyeing-nested-booking-still life); in ogni ciclo espressivo le tracce da seguire cambiano e, di conseguenza, mutano i materiali da utilizzare. Lo scultore nipponico conserva un rapporto viscerale con gli elementi, ne sonda e ne sfrutta le svariate potenzialità, mescolando sostanze di ogni tipo in ardite sperimentazioni.

Pur utilizzando una vastissima gamma di materie, dalle più canoniche come i metalli, la seta, la terracotta, la ceramica, a quelle organiche, biologiche o viventi e servendosi di tecniche tradizionali e sperimentali, l’analisi di Koro Ihara si presenta come un’osservazione unitaria della natura, la vita, l’autonomia e la perfezione dei percorsi evolutivi e dell’intervento destabilizzante dell’uomo.
In tal modo le opere, pervase da un empirismo latente, unito a un rigoroso controllo tecnico, manifestano un’estetica tanto primordiale quanto poetica e raffinata che va ad esaltare l’indagine di fondo.

L’artista


“Cerco tracce di vita e sottoprodotti di creature viventi e con questi creo sculture utilizzando tecniche tradizionali. Concretamente, ad esempio, uso la lacca per indurire lo sterco animale e riportarlo alla forma fisica che ha originato l’escrezione, oppure considero i nidi di rondine e i cumuli di humus generati dai vermi come sculture realizzate dagli animali e li trasformo in opere di ceramica o terracotta. In alcuni lavori “in ground” sfrutto le forme plasmate da intelligenze animali e le mescolo con metodi e funzionalità proprie dell’uomo; muovendomi avanti e indietro tra le diverse prospettive umane e delle altre creature sperimento nuove possibilità per la scultura.


Negli ultimi anni ho condotto una ricerca sulla “carta fotosintetizzante”, facendo reagire una miscela di cianobatteri, chiamata “ishikurage”, con il “kozo”, un vegetale che costituisce la materia prima della carta giapponese. I lavori realizzati con questa carta respirano e fotosintetizzano a seconda dell’ambiente, pur mantenendo la loro essenza di opere d’arte. In questo modo non solo l’essere, ma anche la scultura vive e si modifica.


Nelle mie creazioni interagisco con la natura con il massimo rispetto; il senso della mia ricerca non è usare gli organismi come strumenti, ma capirli, capire la vita e rispettarne il percorso. Attraverso le tracce viventi voglio esplorare nuove esperienze e opportunità che la natura spesso cela nel proprio scorrere, invece di concentrarmi sull’atto di addomesticarla, basato sul presupposto di una gerarchia in cui l’uomo sta in cima.


Mi domando se le tracce di vita che possiamo scorgere e che divengono sculture possano essere realmente considerate opere d’arte al pari delle creazioni dell’uomo e se è così, come credo, vi chiedo: è possibile pensare che organismi non umani siano depositari di cultura?”

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