Festival di Venezia 2023 tra vinti e vincitori
Com’è andata l’80esima edizione del Festival di Venezia? Tra vincitori effettivi e morali e i grandi assenti, non sono mancate le polemiche. Come sempre.
Si è conclusa sabato 10 settembre l’edizione numero ottanta della Mostra Internazionale d’arte cinematografica, aka il Festival di Venezia 2023. Un’edizione insolita, segnata, come di consueto, da tantissime polemiche – in fondo le vecchie abitudini sono dure a morire – alcune delle quali decisamente controverse.
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Festival di Venezia 2023: vincitori e vinti
Come ogni concorso che si rispetti, a rendere (quasi) tutti (in)felici e (s)contenti sono stati i vincitori e i vinti. La giovanissima interprete di Priscilla, Cailee Spaney, avrebbe soffiato la Coppa Volpi a Emma Stone, protagonista di Poor Things, il film che avrebbe vinto, invece, al posto di Green Border, che al mercato mio padre comprò. Il film, manifesto femminista che richiama la storia di Frankenstein, era, in realtà, il favorito sin dall’inizio, ma perché non polemizzare? E chi ha trovato giusta la vittoria della pellicola, ha trovato ingiusto, invece, l’esclusione della Stone dal palmo dei vincitori. La favolosa attrice, premio Oscar per La La Land, si è dovuta, infatti, “accontentare” dell’encomio del regista greco Yorgos Lanthimos che ha confessato che senza di lei – e un team, ci ha tenuto a precisare, tutto al femminile – il film non sarebbe stato nemmeno realizzato.
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Dove sono finiti i divi hollywoodiani?
I più maligni, però, hanno insinuato che a contribuire alla vittoria della Spaney sia stata proprio l’assenza della Stone all’evento. Sono stati pochissimi, infatti, i divi hollywoodiani che hanno preso parte alla manifestazione in quel di Venezia. Il motivo? Lo sciopero di attori e sceneggiatori organizzato dal SAG-AFTRA per un adeguamento dei residuals (i riutilizzi dei loro lavori) in seguito all’avvento di piattaforme streaming e utilizzo dell’AI nell’industria cinematografica; uno sciopero che prevede che gli attori non possano nemmeno partecipare agli eventi per promuovere le pellicole di cui sono protagonisti. Salvo un permesso speciale del sindacato in caso, ad esempio, di una pellicola prodotta da case di produzione non menzionate tra quelle sotto accusa.
È questo il caso, ad esempio, di Adam Driver e Patrick Dempsey che sono arrivati nel capoluogo veneto per presentare Ferrari, il film biografico sulla vita di Enzo Ferrari, padre dell’omonima casa automobilistica; o di Jessica Chastain che è approdato al Lido con una maglia a sostegno dello sciopero. E se Dempsey ha incantato la laguna (e i social di tutto il mondo) con il suo fascino irresistibile e intramontabile (ci credete che ha 57 anni?), di Driver si è parlato per una polemica che non accenna mai a placarsi.
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A sollevarla – non per la prima volta – nei primi giorni della mostra è stato Pier Francesco Favino, in gara con due film. L’attore ha criticato aspramente la scelta di registi e produttori di affidare ruoli legati a personaggi storici del Belpaese a attori stranieri senza guardare al panorama italiano. Immediate e abbastanza unanimi le risposte del produttore italo-canadese di Ferrari, Andrea di Carlo, e del regista Gabriele Muccino che hanno spiegato che l’industria cinematografica italiana non possiede nomi di richiamo internazionale, senza i quali non ci sarebbero i finanziamenti. Adam Driver, intanto, ringrazia per la fiducia.
Non sono mancati gli influencer
Immancabile anche quest’anno, come le lucrose lenticchie a Capodanno, la solita, abusata polemica riguardante la presenza di influencer sul red carpet, resa ancora più ingombrante dall’assenza dei patinati esponenti di Hollywood. A fomentarla, tra l’altro, ci ha pensato Gue Pequeno che si è scagliato duramente contro gieffini e influencer – da lui prontamente ribattezzati influnienter – indegni di solcare quel red carpet. Un commento che ha generato la solita divisione in fazioni: da un lato i puristi del red carpet che vorrebbero sulla passerella solo chi nel cinema ci lavora; dall’altro i democratici del Festival, che sostengono l’apertura dell’evento anche agli addetti ai lavori degli schermi più piccoli della tv e dello smartphone, invitati, tra l’altro, dagli sponsor, che il Festival lo finanziano.
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Il caso Allen, Besson e Polanski
A far discutere, in modo controverso e violento, è stata anche la presenza di tre celebri registi, tutti e tre fuori concorso e tutti e tre coinvolti in accuse di violenza sessuale: Woody Allen, Luc Besson e Roman Polanski. Proprio durante il red carpet di Coup de Chance, il film che segna il ritorno sulle scene di Allen dopo sei anni, un gruppo di attivisti e attiviste hanno manifestato in topless e con i corpi coperti di vernice rossa, chiedendo a gran voce di non dare “spazio a registi coinvolti in vicende di violenze sessuali contro donne, anche minorenni”. Flebile, secondo molti, la difesa del direttore della Mostra Alberto Barbera che si è appellato alla volontà di distinguere l’uomo dall’artista.
A mettere la ciliegina sul misfatto ci ha pensato Gabriel Guevara, star di È Colpa Mia, la pellicola iberica che ha conquistato gli abbonati di Amazon Prime Video. L’attore è stato infatti arrestato a Venezia in seguito a un mandato di cattura internazionale per una presunta violenza sessuale avvenuta in Francia. Pronta la replica della (già provata) Biennale: l’attore non era a Venezia per nessun evento legato al Festival. Si salvi chi può.
Non sono mancati, infine, momenti più dolci. A contendersi il premio tenerezza ci hanno pensato Sergio Castellito che ha sfilato accompagnato dalla moglie Margaret Mazzantini e i quattro figli, per presentare il film diretto dal figlio Pietro; e Fabio Fulco, che ha solcato il red carpet con lo sguardo adorante rivolto all’esuberante figlia die due anni Agnes.
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Non tutti i red carpet vengono per nuocere, in fondo.
Di Titta De Vita
Laureata in Scienze della Comunicazione, è un’appassionata di storie. Divoratrice di libri, dipendente dalle serie tv, adoratrice del cinema. La sua missione è una soltanto: convertire chiunque incroci sul suo cammino al mondo telefilmico.